23/07/2021 – Da un po’ di tempo riemerge ogni tanto l’ipotesi della costituzione di un polo del lusso italiano, ipotesi sostenuta da più parti con l’obiettivo di contrastare la campagna di acquisizione di brand italiani da parte di investitori esteri, così come anche di dare una maggiore identità nazionale alle produzioni più iconiche e prestigiose.
I nomi in gioco, fra chi potrebbe essere artefice dell’operazione e chi potrebbe condurla in porto dal punto di vista manageriale, sono di rilievo, da Armani a Prada-Bertelli, da EXOR (holding della famiglia Agnelli) a Renzo Rosso (Diesel OTB) e Remo Ruffini (Moncler), tutti potenzialmente in grado a livello di capacità e di risorse, di svolgere un ruolo determinante nell’accorpamento dei big dell’industria italiana di alta gamma.
L’operazione tende a emulare quelle condotte negli anni dai grandi gruppi internazionali e francesi, come LVMH ad esempio, che con Bernald Arnault alla guida è riuscito negli anni ad aggregare 75 maison nei cinque più importanti settori del mercato del lusso: Vini e Alcolici, Moda e Pelletteria, Profumi e Cosmetici, Orologi e Gioielleria, Distribuzione selettiva.
Ma nel caso del nostro made-in-Italy di lusso non è così scontato che un’aggregazione del genere possa essere realmente una risposta a ciò che il mercato vuole. Logiche produttive differenti, forte dipendenza dei big da piccoli fornitori altamente specializzati e di tradizione, dinamiche finanziarie difficili da gestire nell’ambito di strategie univoche di gruppo, ma anche una differente percezione del made-in-Italy da parte del mercato, fatto di concept di lusso più legati all’esperienza e al territorio, che alla singola azienda in sé, comunicazione da parte di molte aziende che non è facilmente indirizzabile verso standard di gruppo, proprio in ragione di quella forte identità territoriale che il made-in-Italy si porta dietro, molto diversa da un ipotetico made-in-France che peraltro non è così identitario.
E la protezione dagli investimenti esteri oggi non è detto che debba essere considerata come un male. Spesso investitori internazionali sono stati in grado di rilanciare e potenziare aziende italiane nel totale rispetto dell’identità e dei valori nazionali su cui è stato costruito un successo (vedi Automobili Lamborghini con gruppo VW Audi), anzi mettendoli a valore nella strategia aziendale e finanziaria.
Pertanto un’idea di polo del lusso ci sembra possa essere più un proclama che un progetto di successo, dove l’idea di fondo può essere perseguita ugualmente puntando su altre strategie che consentano di rinforzare e consolidare l’italianità dei brand e del loro modo di essere italiani, indipendentemente dagli aspetti societari e finanziari che, ormai, nel contesto globale richiedono risorse importanti e capacità distributive di respiro fortemente internazionale.
Il dibattito è aperto!